Su questi tempi falsamente immobili continuano a scorrere i quesiti di un'amica che non oso definire sapiente, perché lei si scrollerebbe via questa parola. È che pone domande così importanti, e io sono così scarsa su questo terreno che ammiro chi agilmente vi semina.
Di che cosa abbiamo bisogno, realmente? Che cosa ci hanno sussurrato o gettato in faccia questi tempi falsamente immobili?
Questa risposta è corsa avanti, nei miei pensieri: di Poco.
Io ho capito di aver bisogno di poco, tante necessità schiaffate dentro la mia vita da prepotenti consuetudini o da inerzie mie: spesso, entrambe le cose.
E allora, mi sono chiesta come potrei definire quel poco. Chiudendo gli occhi, vedo pezzi di cielo e fili d'erba, uno sguardo sincero, anche sconosciuto, una visita casuale in chiesa quando c'è mio fratello.
Non calcoli febbrili su ciò che puoi permetterti o che puoi accumulare, non amici che quando chiami o messaggi scivolano via tanto che mai sarà, non persone che sanno cosa chiederti di fare senza soffermarti su ciò che sei, non ruoli pomposi ma gesti silenziosi.
Una corsa nel prato, un raggio di sole, un poltrire sul divano felice come una gatta. Quel poco che avevo da bambina, a costo di bambina diventare ancora.
E quel Poco è così immenso, nella sua essenzialità, da essere Più.
Sì, io avrei bisogno di Poco. Di Più.
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