Cinque anni fa il mondo. O il mondo di cinque anni fa. Risento l'eccitazione di varcare la soglia di Expo2015, poter ascoltare voci e nazioni diverse, addentare una cultura nuova. Ho parlato con tutti, persino con una mela.
Quel primo giorno era una promessa e nei mesi seguenti si è in parte mantenuta. In parte, perché di fronte all'immensità del pianeta e alla mia piccolezza ho colto briciole qua e là. Mi sono rimasti dentro Paesi che prima non guardavo con troppo interesse, dalla lontana Colombia alla più vicina Polonia. Ho avvertito l'impegno che incalzava, ma ancora non riuscivamo a prendere sul serio, per la Terra. Ho sentito, complice il libro che stavo scrivendo, che dovevo incamminarmi sul sentiero del rispetto per le creature diventando vegetariana: piano piano, sarebbe successo. Mi ricordo una fiammata lì, anzi due.
La scena di un animale non solo ucciso, ma esposto dileggiandolo. Non me la toglierò più dalla mente e lì ho cominciato a ribellarmi.
E poi, nella mente mi inseguivano le parole di un uomo straordinario come Elio Fiorucci: l'ode alle creature che mi fece durante un'intervista poche settimane prima, quella che conservo ancora gelosamente nelle mie carte virtuali. Gli appunti, più dell'intervista.
Eppure oggi ciò che grida, forse che stride, è quella folla da tutto il mondo, che il mondo voleva scoprire.
Adesso siamo rintanati nelle nostre case, per salvarci, e sbirciamo gli altri come stanno alla finestra della tv.
Il mondo cinque anni fa, quando eravamo sicuri di poterlo cambiare. E adesso, dobbiamo cambiare noi. Forse finalmente.
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