Sarò stata una bambina fragile, o meglio mi sono lasciata etichettare così. A scuola non sono stata minacciata o picchiata o perseguitata e grazie a Dio non circolavano ancora i vari mostriciattoli digitali a potenziare la carica.
Niente bulli, dalle mie parti?
Eppure ho avuto un flash qualche giorno fa, tornando alle elementari. Non era certo la prima volta che ci rimettevo piede, ma aver trascorso delle ore in un laboratorio con i bambini mi ha forse aiutato a gettare lo sguardo dentro di me e oltre quelle mura: nel cortile, in apparenza. No, non è vero: anche un doloroso ma proficuo lavoro su me stessa in questi mesi ha contribuito a questa epifania.
Mi è venuto in mente che le prime storie della mia vita, le ho scritte lì. Vergate frettolosamente nella mente, per far fronte a qualcosa. A che cosa? A qualche prepotenza, questo lo sento. Anche se non riesco a metterla a fuoco, rimossa o soffocata nel tempo, la sento con la medesima potenza. Qualche bambino che faceva l'arrogante, lì nel cortile, non nell'apparentemente più sicura aula. E io reagivo nell'unica maniera che conoscevo: creando storie, personaggi, uno su tutti che venisse in mio soccorso e si rivolgesse al marmocchio pestifero con parole perentorie.
"Lascia in pace Marilena o ci penso io".
Così la mente volava via e mi scordavo di quelle ferite, o almeno così sembrava. Perché adesso torna questo ricordo e capisco una cosa importante: troppo spesso ho scritto storie nella mente per sfuggire ai prepotenti. Ed è sbagliato, perché bisogna alzare la voce con dignità. E chi alza le mani, va denunciato e basta: fuggire non solo non mette al riparo, ma spinge quel malato a colpirti ancora, magari non più (se va bene) fisicamente ma cercando di fare terra bruciata attorno a te in modo subdolo. Perché di fronte ad altri può anche fingere di incensarti, intanto però cerca di eliminare ogni traccia di te. Questo, l'ho imparato bene.
E non lo tollero più. Ci sono voluti anni, decenni, ma mi sono risvegliata.
Quando ero piccola, e non solo, quante storie contro i bulli perché comunque si chiamano così. Per sopravvivere, per farmi forza, per fuggire.
Adesso ho chiuso il quaderno e apro il cassetto. Non sono una bambina, né una donna fragile. E non ho più paura di scendere nel cortile della vita.