Dopo averla sentita scorrere misteriosa, come uno sfacciato controsenso, ho forse capito cos’è quest’energia che ha affiancato l’ansia di questo periodo. Come un’eccitazione, inspiegabile finché non ci specchi dentro la vita.
È l’idea che adesso qualcosa ci inventeremo. Che sta iniziando qualcosa a cui dobbiamo offrire la nostra intelligenza, i nostri talenti tutti.
Ascoltando ieri la frase pronunciata per illustrare un problema e tentare soluzioni, soluzioni inedite per un tempo follemente nuovo, mi sono detta: oh sì, faremo qualcosa di nuovo.
Qualcosa che non si era mai visto, uno spettacolo luminoso, più dirompente del dramma che stiamo vivendo.
Qualcosa che non ha mai visto nessuno: lo sto creando anch’io.
Appunti di Viaggio di Marilena Lualdi Tra natura, dubbi e musica (Nature, music and doubts) (Questo sito si serve dei cookie per fornire servizi. Utilizzando questo sito acconsenti all'uso dei cookie)
domenica 31 maggio 2020
venerdì 29 maggio 2020
Più pesante dello zaino
Esco troppo presto per intercettare il flusso ancora assonnato degli studenti, solitamente. Stamattina, però, ho visto un cancello spalancarsi e due ragazzi uscire, in apparenza con lo zaino.
Vanno a scuola, mi sono detta. Poi sono sobbalzata: no, la scuola non c’è. Avranno un’altra meta con quegli zaini pesanti. Così pesanti che me li ricordo ancora: ci feci la tesina all’esame di giornalismo, tanto mi doleva simbolicamente ancora la schiena.
Più pesante dello zaino, però, c’è questo vuoto. Non è una polemica, non ho brillanti soluzioni in tasca: nemmeno opache.
Mi addolora la prova che sta affrontando questa generazione. E mormoro solo una preghiera: che anche per questa prova, sia migliore della mia.
Vanno a scuola, mi sono detta. Poi sono sobbalzata: no, la scuola non c’è. Avranno un’altra meta con quegli zaini pesanti. Così pesanti che me li ricordo ancora: ci feci la tesina all’esame di giornalismo, tanto mi doleva simbolicamente ancora la schiena.
Più pesante dello zaino, però, c’è questo vuoto. Non è una polemica, non ho brillanti soluzioni in tasca: nemmeno opache.
Mi addolora la prova che sta affrontando questa generazione. E mormoro solo una preghiera: che anche per questa prova, sia migliore della mia.
Come uno spicchio di luna (la libertà)
La libertà è anche vedere un altro fiume che scorre. Io che torno, minuscola, al Ticino e oltrepasso il ponte. Le piante si specchiano senza vanità e presto mi punzecchieranno le zanzare.
La libertà è anche fare pochi chilometri, poterli fare e basta. Tre giugno, annoto.
Come lo spicchio di luna, piccolo e luminoso, che scorgo in cielo: così la libertà.
giovedì 28 maggio 2020
Il leprotto nel cespuglio
Esco da un antico palazzo, che rivive sbirciando il vicino treno oltre spruzzi di cespuglio. Sul vialetto mi ferma un leprotto: sì, attraversa mezzo metro e si ferma, incurante del mio goffo arrivo.
Io, viziata da Willy, credo che potrò fotografarlo e portarlo sempre con me. Peccato che io sia al telefono, attualmente, ma la comunicazione sta per terminare.
Nell'esatto momento in cui accade, agguanto la fotocamera, però il leprotto si rifugia sotto la siepe. Non sono riuscita a fotografare il leprotto e portarlo sempre con me.
Ma a infilare questo momento irripetibile nella mia vita, sì.
Io, viziata da Willy, credo che potrò fotografarlo e portarlo sempre con me. Peccato che io sia al telefono, attualmente, ma la comunicazione sta per terminare.
Nell'esatto momento in cui accade, agguanto la fotocamera, però il leprotto si rifugia sotto la siepe. Non sono riuscita a fotografare il leprotto e portarlo sempre con me.
Ma a infilare questo momento irripetibile nella mia vita, sì.
Parlare del tempo (la gioia quieta)
Dopo aver discusso con il selfservice, ho deciso di interpretarlo come un segno. Torno dal mio benzinaio: quello che è sempre aperto, nei momenti di crisi piccina. E magari anche grande.
Non lo vedo da tre mesi. Spesso c'è una signora gentile, di quelle che ti rende possibile confidare in una giornata sorridente. Apro già il serbatoio e ci guardiamo: di che cosa parleremo dopo queste settimane senza tempo.
Una brezza frizzante mi tira la giacca e le dico: «Certo che questo vento fa piacere, in giornate così calde». Lei risponde e io mi accorgo che da molto tempo non parlavo del tempo! Meteo, sì, ma come suona bene così: una corda che si spezza, liberando una nuova armonia.
La gioia quieta, di parlare del tempo. L'ordinario, come se l'emergenza potesse scollarsi da noi.
Non lo vedo da tre mesi. Spesso c'è una signora gentile, di quelle che ti rende possibile confidare in una giornata sorridente. Apro già il serbatoio e ci guardiamo: di che cosa parleremo dopo queste settimane senza tempo.
Una brezza frizzante mi tira la giacca e le dico: «Certo che questo vento fa piacere, in giornate così calde». Lei risponde e io mi accorgo che da molto tempo non parlavo del tempo! Meteo, sì, ma come suona bene così: una corda che si spezza, liberando una nuova armonia.
La gioia quieta, di parlare del tempo. L'ordinario, come se l'emergenza potesse scollarsi da noi.
mercoledì 27 maggio 2020
Operosamente
Il post di un amico mi spinge ad accendere la tv: l’Aida! Questa volta l’immensa opera scorre sotto il volto di mio padre, la sua foto sul mobile con quella luce negli occhi che mi ha sempre evocato le sue, le nostre monellerie.
L’Aida maestosa, eppure mai come a Busseto: di colpo mi trovo ancora là per rivivere quelle ore riposte come gioielli di famiglia, da conservare per le occasioni irripetibili, non indossare nella routine.
Grande e piccolo si fondono nell’Opera. E forse in ogni opera della vita.
Operosamente, procediamo più saggi e piccini, struggendoci o con una marcia trionfale di cui conosciamo solo noi la ragione ogni giorno.
Quelli che non ce la farai
Mi ispira sempre una risata saggia leggere l’articolo sui Kiss di 46 anni fa, un verdetto senza appello emesso il 27 maggio.
Poveri ragazzi, che mettano da parte qualcosa, perché non ne sentiremo parlare a lungo. Ma sì, forse mezzo secolo non è “a lungo”.
A loro dissero, anzi scrissero così. Ciascuno di noi ha una collezione. Se hai delle regole dentro di te, ti sbraneranno: non hai futuro. Se proverai a correre, ti prenderanno il tempo deridendoti.
Quelli che... non ce la farai, impegnati a giudicare, e anche malamente.
Tu ti dipingi il volto di libertà e sali sul palco, ancora.
Poveri ragazzi, che mettano da parte qualcosa, perché non ne sentiremo parlare a lungo. Ma sì, forse mezzo secolo non è “a lungo”.
A loro dissero, anzi scrissero così. Ciascuno di noi ha una collezione. Se hai delle regole dentro di te, ti sbraneranno: non hai futuro. Se proverai a correre, ti prenderanno il tempo deridendoti.
Quelli che... non ce la farai, impegnati a giudicare, e anche malamente.
Tu ti dipingi il volto di libertà e sali sul palco, ancora.
martedì 26 maggio 2020
Autentica fortuna
Dopo aver riempito libri con la loro presenza ed essere rabbrividita di fortuna, un giorno ho smesso di cogliere quadrifogli.
Ho pensato che la fortuna è autentica, quando condivisa. Perché allora portare via la prima benedizione, la vita?
Del resto, la gioia più forte, da far battere il cuore, è sempre stata quella di vederli: cogliere la loro capacità di essere speciali, con naturalezza. Non cogliere la loro vita.
Non so quanto duri l’esistenza di un quadrifoglio, ma un giorno, un minuto, immerso nell’erba mi appare un tesoro inestimabile, su cui non voglio più recidere io.
lunedì 25 maggio 2020
Il rito dell’erba
Quando stiamo per entrare nel parco del fiume, un ronzio e una macchia in movimento ci spiegano che stanno tagliando l’erba. Era altissima, dopo questo lungo periodo con il fiato sospeso.
Ma qualcos’altro ce lo stava esclamando prima: il profumo. Mi avvolge ricordandomi il potere di questo rito, ancora la valle è ciò che c’era prima, i miei avi contadini restii a diventare operai.
Si spalanca il cancelletto e io non corro in casa, ma in giardino, già traboccante di felicità per il profumo gridato dai campi, e abbraccio forte il nonno, magro e forte, chino sull’orto con la sua maglietta bianca. Eppure lascerà gli attrezzi, mi stringerà e ballerà con me.
Sto ballando anche ora, su un tappeto d’erba, che lo vedano o no.
Ma qualcos’altro ce lo stava esclamando prima: il profumo. Mi avvolge ricordandomi il potere di questo rito, ancora la valle è ciò che c’era prima, i miei avi contadini restii a diventare operai.
Si spalanca il cancelletto e io non corro in casa, ma in giardino, già traboccante di felicità per il profumo gridato dai campi, e abbraccio forte il nonno, magro e forte, chino sull’orto con la sua maglietta bianca. Eppure lascerà gli attrezzi, mi stringerà e ballerà con me.
Sto ballando anche ora, su un tappeto d’erba, che lo vedano o no.
L'unico punto che conta
Accanto al fiume, sfrecciano pochi umani, ma basterebbero a far fuggire molte creature. Non lui, l'airone. Una statua che sfida le frenate delle biciclette, il fruscio dei piedi sui sassolini, i gridolini delle famiglie.
C'è l'aironeSì, lui c'è, ma il suo sguardo corre altrove. Forse fino all'unico punto che conta, mentre noi ci aggiriamo a caso.
domenica 24 maggio 2020
Il senso originario (non per gioco)
Spunta un altro gioco, in tutta la sua serietà. Infilato in un cassetto, i colori sparpagliati da una scossa.
Shanghai. Il mio momento preferito, controtendenza. Forse perché già i requisiti di gioco mi mettevano fuori concorso, a cominciare dalla pazienza.
Io adoravo stringere forte i bastoncini, quasi stritolarli tutti insieme. Sentire la forza e un significato che li avvolgeva. Poi lasciarli cadere e affidarli all’apparente caso. In quegli istanti, c’era tutta la potenza della metafora di vita, che lo cogliessi o no.
Sì, il gioco prevedeva di raccoglierli, uno ad uno, preservando l’immobilità degli altri fino al loro turno, ma dentro di me rimaneva il desiderio ancora di stringerli insieme e ricordarne l’originario significato. Quello afferrato e smarrito per un istante, dopo di che il gioco si colorava di umanità e nostalgia.
Shanghai. Il mio momento preferito, controtendenza. Forse perché già i requisiti di gioco mi mettevano fuori concorso, a cominciare dalla pazienza.
Io adoravo stringere forte i bastoncini, quasi stritolarli tutti insieme. Sentire la forza e un significato che li avvolgeva. Poi lasciarli cadere e affidarli all’apparente caso. In quegli istanti, c’era tutta la potenza della metafora di vita, che lo cogliessi o no.
Sì, il gioco prevedeva di raccoglierli, uno ad uno, preservando l’immobilità degli altri fino al loro turno, ma dentro di me rimaneva il desiderio ancora di stringerli insieme e ricordarne l’originario significato. Quello afferrato e smarrito per un istante, dopo di che il gioco si colorava di umanità e nostalgia.
sabato 23 maggio 2020
Il ponte tra le vite
Tutte queste mie vite, posate sulle terra e scompigliate da brezze o uragani, mi piace pensarle così. Unite da un ponte, come quello rinato nella mia cara Dundee.
Il ponte tra le vite. Tiene insieme lembi di speranze e lacrime, con un morbido disegno. E questa sua bellezza è come un pegno, una promessa che qualcuno avrà afferrato una matita e l'avrà immaginato proprio così. Dolcemente posato a unire tutte queste mie vite.
Il ponte tra le vite. Tiene insieme lembi di speranze e lacrime, con un morbido disegno. E questa sua bellezza è come un pegno, una promessa che qualcuno avrà afferrato una matita e l'avrà immaginato proprio così. Dolcemente posato a unire tutte queste mie vite.
venerdì 22 maggio 2020
Un mondo senza puntini
Non ci credo più tanto, a un mondo dove lo smog non tormenterà il corpo, né l'anima. Dove saremo tutti più rispettosi, magari infilando persino nel modo corretto la mascherina e poi tagliando la strada a un altro.
Sogno briciole, che possano sfamare. Come un mondo senza puntini. Sì, quei dannati punti di sospensione, che ho cercato insistentemente di levare o almeno limitare da ogni scritto. Forse, non abbastanza nel parlare.
Un mondo senza puntini, dove le parole siano nette come gli occhi. Senza spalmare un vuoto, travestito da senso.
Una domanda, che ti dia respiro. Un punto che metta fine. Ma quei tre tiepidi puntini mi annoiano e a volte mi nauseano.
Un mondo senza puntini. Niente di sospeso, in barba al destino. Un altro sogno irraggiungibile. Quasi quasi finisco così
Sogno briciole, che possano sfamare. Come un mondo senza puntini. Sì, quei dannati punti di sospensione, che ho cercato insistentemente di levare o almeno limitare da ogni scritto. Forse, non abbastanza nel parlare.
Un mondo senza puntini, dove le parole siano nette come gli occhi. Senza spalmare un vuoto, travestito da senso.
Una domanda, che ti dia respiro. Un punto che metta fine. Ma quei tre tiepidi puntini mi annoiano e a volte mi nauseano.
Un mondo senza puntini. Niente di sospeso, in barba al destino. Un altro sogno irraggiungibile. Quasi quasi finisco così
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Chi mi smaschera (sei tu)
Prove di maschera prima di uscire, come se anni di pratica a nulla fossero serviti. Ma tanto mi smascherano in tanti, felicemente.
Controluce, ti avvicini e fingi di volermi guardare più da vicino.
Ma in realtà le creature come te, mi osservano dentro meglio di quanto sappia fare io.
mercoledì 20 maggio 2020
Fuori posto
Ci attraversa la strada uno scoiattolo, la sua coda ai nostri occhi immensa si è presa tutto il tempo e più per completare l’azione.
L’avevamo già adocchiato in un’alba meno trafficata, eppure oggi è stato meno furtivo. Strano - ci siamo dette la cagnolina e io, condividendo uno sguardo perplesso -, qui è fuori posto lo scoiattolo: niente a che vedere con i nostri amati boschi e gli alberi su cui sfrecciavano. Qui asfalto, e pure rotto e macchiato dalle zampate dell’umanità.
Ma il suo passo sfacciatamente libero ci ha interrogato su chi sia davvero fuori posto. E su come sia piacevole sorprendere e sorprendersi. Non mi ha stupito che il primo magnifico pezzo letto poi sia stato questo su Niki Lauda.
Fuori posto oppure libero: lo decidiamo, anche in maniera bizzarra, noi.
https://rep.repubblica.it/pwa/rubrica/la-prima-cosa-bella/2020/05/21/news/la_prima_cosa_bella_di_giovedi_21_maggio_2020-257188506/
L’avevamo già adocchiato in un’alba meno trafficata, eppure oggi è stato meno furtivo. Strano - ci siamo dette la cagnolina e io, condividendo uno sguardo perplesso -, qui è fuori posto lo scoiattolo: niente a che vedere con i nostri amati boschi e gli alberi su cui sfrecciavano. Qui asfalto, e pure rotto e macchiato dalle zampate dell’umanità.
Ma il suo passo sfacciatamente libero ci ha interrogato su chi sia davvero fuori posto. E su come sia piacevole sorprendere e sorprendersi. Non mi ha stupito che il primo magnifico pezzo letto poi sia stato questo su Niki Lauda.
Fuori posto oppure libero: lo decidiamo, anche in maniera bizzarra, noi.
https://rep.repubblica.it/pwa/rubrica/la-prima-cosa-bella/2020/05/21/news/la_prima_cosa_bella_di_giovedi_21_maggio_2020-257188506/
La vita nascosta
Incontenibile la voglia di vivere: esplode la vegetazione con un grido silenzioso. Ma intanto il rumore c'è, anzi il fracasso di tutte le bestiole che stanno creando sano assembramento vicino al fiume.
Solo ogni tanto spunta un becco, un altro animaletto si espone con una nuotata a cielo aperto.
La vita nascosta, però, è quella che scorre. Rumorosa e sincera, capace di immobilizzarsi a un cenno di pericolo, per poi riemergere.
Tutto attorno, ronza l'estate e io non mi stupire di vedere il nonno, fradicio dopo il suo tuffo nell'Olona, quel tuffo che finora avevo solo immaginato.
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martedì 19 maggio 2020
Lievemente Grazie
Non so mettere ordine tra i tanti, tantissimi Grazie: loro mi si affollano davanti, senza presunzione ma con generosa attitudine.
Il mio libro nel cassetto, tirato fuori combattendo con me stessa, crescendo e completandosi, ora è un romanzo pubblicato dalla casa editrice Mursia. Adesso che si è spogliato delle sue remore, voglio sentire il frusciare delle vesti della libertà.
I Grazie si mettono in ordine, ci provano: qualcuno si ritrae, qualcuno sbircia avanti. Ma tutti coloro che hanno sostenuto questa ricerca, questo sforzo, rimarranno parte di questa avventura sbocciata sulla collina della vita.
Lievemente Grazie, perché questa è una parola importante e leggera, un carico lieve da portare, tanto che sembra di volare.
https://www.mursia.com/index.php/it/prossimamente/marilena-lualdi-chi-ha-bisogno-di-willy-detail
Il mio libro nel cassetto, tirato fuori combattendo con me stessa, crescendo e completandosi, ora è un romanzo pubblicato dalla casa editrice Mursia. Adesso che si è spogliato delle sue remore, voglio sentire il frusciare delle vesti della libertà.
I Grazie si mettono in ordine, ci provano: qualcuno si ritrae, qualcuno sbircia avanti. Ma tutti coloro che hanno sostenuto questa ricerca, questo sforzo, rimarranno parte di questa avventura sbocciata sulla collina della vita.
Lievemente Grazie, perché questa è una parola importante e leggera, un carico lieve da portare, tanto che sembra di volare.
https://www.mursia.com/index.php/it/prossimamente/marilena-lualdi-chi-ha-bisogno-di-willy-detail
Il sogno di una piccola donna
Il primo libro, scivolato tra le mie mani: stampato quando avevo cinque anni e ancora i giochi avevano il sopravvento sulle lettere. La copertina ha resistito alla rilettura costante, tenace quanto le pagine. E che meraviglia quelle figure che comparivano a confermare o sorprendere il mio ritratto personale delle protagoniste.
Da piccola donna avevo diversi sogni e il primo era quello di avere delle sorelle: le trovavo lì, mi ispiravo a Jo, mi lasciavo guidare da Meg, bisticciavo con Amy, tenevo stretta Beth per paura che volare via.
Quella, era un po' la mia famiglia. Poi, facevo scorrere il dito sul nome dell'autrice - Louisa May Alcott - e sulla casa editrice - Mursia - pregustando di divorare altre storie. Presto, di scriverne: infatti cominciavo a sommergere quaderni, finché appresi dalla mamma l'arte della dattilografa e riversai la fantasia su fogli strappati al loro candore.
Come se tutto potesse fondersi, la vita e il sogno; come se io potessi correre avanti, a suon di parole, e diventare adulta.
Che poi sarebbero tanti anni.
In tre anni chi sa mai quante cose accadranno
Lo diceva Jo in conclusione e io le credevo ciecamente. I miei primi libri sono affiorati, in realtà parecchi anni dopo, uscendo dal cassetto. La spinta decisiva, è arrivata da mio padre perché dovevo terminare il suo libro: un compito troppo solenne perché la mia timidezza potesse prevalere. Undici anni dopo, qualcosa di magico sta per accadere.
Il mio romanzo, Chi ha bisogno di Willy, pubblicato da Mursia.
Ne parlerò, prestissimo. Per adesso, poso il primo libro della mia vita sullo schermo del computer e rivedo il sogno di una piccola donna. E lo dedico a tutte le donne che hanno osato e anche a quelle che non osano ancora, perché lo facciano presto, al momento giusto.
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lunedì 18 maggio 2020
Colori guardiani
L’erba svetta sul fiume, e così i fiori, come ansiosi di specchiarsi.
Colori guardiani vegliano sulla voglia di vivere e la accarezzano. Buttano via il grigiore accumulato e fanno respirare già la morbidezza dell’estate.
Più che un temporale d’estate
Io l’ho visto, un temporale d’estate, uno vero. Un lampo ha squarciato il muro sfiorandomi l’anima. Tutto era sereno e lui ha fatto irruzione nella vita.
La pelle ancora tesa nel sole.
Adesso, una voce sofferente si è spenta. Una di quelle che raccontavano meraviglie: un lampo, una pioggia battente e implacabile, quindi il silenzio.
Mi ha lasciato un patto non scritto e il musino di una volpe. Mentre cammino sotto più di un temporale d’estate.
Spingiamo la vita più in là (back to our friends)
Ho cercato spiccioli di parole per raccontare questo slancio impresso in una data: 18 maggio 2020. Ripartenza, spingiamo la vita più in là.
Ma non sono riuscita, fino in fondo. Poi ho pensato alla mia cagnolina. Ai primi tempi, duri per un'anima libera, quelli dei 200 metri e la preoccupazione fitta negli occhi della sua Malu. A quando i 200 metri si sono sciolti, ma ancora il suo parco era chiuso. E poi c'era quella saracinesca giù, senza luci: quella dei suoi amici, che significava per lei carezze e biscotto.
I primi giorni, portava il muso fin sotto e non voleva saperne, quando ripetevo: «È chiuso, Fanni». Da una settimana, un comportamento strano e struggente: non guardava nemmeno più. Come se non volesse soffrire.
Questa mattina sapevo che una meravigliosa sorpresa la attendeva e l'ho spronata: corri Fanni. Prima incerta, poi lanciata, quindi ancora esitante e fremente infine.
Fanni dai suoi amici. Come ciascuno di noi.
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domenica 17 maggio 2020
Raccogliendo le forze (per fare primavera)
Domenica mattina, presto presto: il mio viale è adombrato dalla pioggia e sembra ancora spento. Eppure sento che sta radunando le forze per ripartire, tutto. Come la mia città, come il mio Paese. Mancavano molti commercianti, mancavano le luci che non si fanno spesso vedere perché preferiscono esserci che balenare. Io, che sono nipote di un barbiere e pronipote di una donna invincibile che aveva una bottega, non riesco a non commuovermi. Che poi non riesco a non
Commuovermi, per tutti noi.
Per il periodo spaventoso che ci ha tormentato e non se ne andrà facilmente, per quelli che ci sono stati, nel modo che loro sanno. Ho ammirato chi c’è stato e chi ha scelto di non esserci, in apparenza, per proteggere gli altri, per chi ha deciso e chi non ha potuto.
Svegliati, viale, città, Paese. Mondo intero, se puoi. Quel grigio lì, lascialo cadere. Sarà la nostra primavera, scavata dalla pioggia eppure così meravigliosa. Come noi.
sabato 16 maggio 2020
Bentornati
Lungo il viale un'altra saracinesca si è alzata e anche i colori delicati delle pareti sembrano affacciarsi mentre fervono i preparativi. Noi ci fermiamo ed esclamiamo:
Ciascuno dei nostri amici ha le proprie ragioni, le proprie ferite, le proprie speranze; tutti, tanto coraggio, quello che non si vede, ma si legge negli occhi e nelle decisioni.
Bentornati: lo diremo presto a tanti, speriamo un giorno a tutti, perché questa battaglia durissima sta continuando a infuriare.
Bentornati, lo diciamo anche a noi, che attraversando il viale ci sentiamo come se il mondo fosse tutto nostro e noi generosamente lo regalassimo.
Bentornati!Ci rispondono due sorrisi che ci fanno proseguire il cammino più felici. Sappiamo che lunedì un'altra saracinesca si alzerà e sarà una festa rivedersi, dopo più di due mesi di emergenza Covid. Sappiamo anche che qualcuno aspetterà e dovremo rimandare la bellezza dell'incontro.
Ciascuno dei nostri amici ha le proprie ragioni, le proprie ferite, le proprie speranze; tutti, tanto coraggio, quello che non si vede, ma si legge negli occhi e nelle decisioni.
Bentornati: lo diremo presto a tanti, speriamo un giorno a tutti, perché questa battaglia durissima sta continuando a infuriare.
Bentornati, lo diciamo anche a noi, che attraversando il viale ci sentiamo come se il mondo fosse tutto nostro e noi generosamente lo regalassimo.
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venerdì 15 maggio 2020
Una giornata (con un inizio o una fine)
Dentro un giorno che non finiva mai, è arrivata una giornata vera. Una di quelle in cui non calcolare, bensì liberare le proprie energie.
Cominci con le lacrime che devi lasciar evaporare al contatto con i ricordi, quelli che spronano al futuro. Le barriere che si sciolgono, anche le degustazioni sono tornate impossibili e il Micio ha voluto controllare ogni dettaglio. Il riposo profondo, la voglia di uscire e misurarsi senza competere. Arrivando a una serata in cui contava solo ascoltare la persona più amata.
Una giornata, una vera, con un inizio e una fine. Al termine, sì, ti viene da parlare dell'inizio del lockdown, pensando al passato. E magari stai sbagliando, così plachi ogni parola di troppo.
giovedì 14 maggio 2020
Io, me e le rose
È tutto più silenzioso, stamattina. Anche la pioggia ha abbassato la voce e niente riempie il vuoto dell’aria e della terra.
Niente, se non pennellate di colore. L’erba brilla anche senza l’esplosione dell’alba e ci invita a starle vicino, come a volerci sussurrare una storia. Poi ci sono le rose, avvolte in grovigli di rovi e piante selvatiche (come se le piante potessero essere realmente addomesticate). Sono di un rosa timido che si appoggia appena allo sguardo.
Io, me e le rose. E tu che guardi e sorridi, perché provano a farmi felice.
Niente, se non pennellate di colore. L’erba brilla anche senza l’esplosione dell’alba e ci invita a starle vicino, come a volerci sussurrare una storia. Poi ci sono le rose, avvolte in grovigli di rovi e piante selvatiche (come se le piante potessero essere realmente addomesticate). Sono di un rosa timido che si appoggia appena allo sguardo.
Io, me e le rose. E tu che guardi e sorridi, perché provano a farmi felice.
Il temporale proprio sopra di noi
Continua a infierire sul pianeta la tempesta, eppure stasera c’è un temporale proprio sopra di noi.
Sulla nostra testa, zuppa di ricordi, bombardata di perché. Un altro pezzo di vita si scioglie stasera e un maestro gentile, tra i pochi che ancora preferivano chiamarmi Malu, è già altrove.
Forse sopra le nuvole, sopra la tempesta.
mercoledì 13 maggio 2020
La danza del serpente
Nel silenzio appena vacillante del rione dove sono cresciuta, ci devono essere sotterfugi strani di suoni. Lo affermo, perché a bruciapelo si insinua nella mente una canzone lontana.
Questa è la danza del serpente... non riesco a visualizzare dove vi giocassi, ma non distante da qui. All’asilo tra gli scivoli e lo sguardo sorridente di suor Adriana, oppure nel cortile immenso delle elementari. All’oratorio no, perché ci rimasi una sola estate, a causa dell’allergia al ricamo.
Penso ora a questo serpente che scende dal monte a cercare la sua coda. E così raduna bambini, piccoli talenti, e cresce. Che sia questa, mi son detta, la Fase 3, quella personale? Ho perso un pezzo di me stessa, ma mica per il virus e il lockdown, bensì molto prima? Sono stata forse sul monte e lì mi sono accorta che mancava qualcosa, e chissà dove l’avevo lasciata? La vita riprende così, avendo capo e coda.
Allora, giù dal monte, piano piano, guardando ogni angolo, ogni volto. E sempre danzando.
Questa è la danza del serpente... non riesco a visualizzare dove vi giocassi, ma non distante da qui. All’asilo tra gli scivoli e lo sguardo sorridente di suor Adriana, oppure nel cortile immenso delle elementari. All’oratorio no, perché ci rimasi una sola estate, a causa dell’allergia al ricamo.
Penso ora a questo serpente che scende dal monte a cercare la sua coda. E così raduna bambini, piccoli talenti, e cresce. Che sia questa, mi son detta, la Fase 3, quella personale? Ho perso un pezzo di me stessa, ma mica per il virus e il lockdown, bensì molto prima? Sono stata forse sul monte e lì mi sono accorta che mancava qualcosa, e chissà dove l’avevo lasciata? La vita riprende così, avendo capo e coda.
Allora, giù dal monte, piano piano, guardando ogni angolo, ogni volto. E sempre danzando.
martedì 12 maggio 2020
Correre davanti all’alba
Ci sono mattine in cui devi correre davanti all’alba, per fermare tutto. Come a un’auto contromano, febbrili segni per attirare l’attenzione e correggere la traiettoria.
Correre davanti all’alba, per tornare indietro e ritrovare la strada.
Correre davanti all’alba, perché il buio è più amico.
Mattine così, in cui rivuoi solo il silenzio, e l’alba già ti appare troppo ciarliera.
Correre davanti all’alba, per tornare indietro e ritrovare la strada.
Correre davanti all’alba, perché il buio è più amico.
Mattine così, in cui rivuoi solo il silenzio, e l’alba già ti appare troppo ciarliera.
La leggerezza dei saggi momenti
Ho indossato una maglietta leggera e me ne sono anche presto pentita: della primavera, non sono convinta ancora.
Eppure poi mi hanno inseguito pensieri capaci di alleviare quelli soffocanti di questo periodo. I viaggi nei vigneti, con abiti fini anche sullo sfumare dell'estate. Come quella giornata magica a Soave. Chissà perché oggi mi ha sfiorato proprio quel ricordo. Mi accompagna quest'immagine del bicchiere che si alza al cielo: quest'ultimo sembra invitare e ritrarsi allo stesso tempo.
Stasera io lo vedo come una promessa: la leggerezza che c'era in quei momenti saggi, può tornare. Anzi forse potrà anche farci sollevare ancora più in alto: non per fuggire, ma per abbracciare con lo sguardo tutto il bene che c'è.
Inarrestabile
Il cimitero accoglie i primi visitatori questa mattina. È l'ora che ho sempre amato: assembramenti mai pervenuti, neanche in epoca (non) sospetta.
Scorgo un uomo fermo, sta prendendo fiato: in una mano tiene una stampella, nell'altra nei fiori. Dovrà attraversare la distesa di sassolini e non è un'impresa facile. Ma lui è qui, inarrestabile, e ce la farà.
Come un altro signore, che vedrò dopo pochi minuti. Il bastone, fedele compagno, ma il suo incedere lento non si spegne.
Mi sembra un fiume di volontà, con le gocce diradate quanto basta abbondantemente per le normative. Sullo sfondo si prepara un funerale di questo tempo un po' meno sospeso, ma sempre surreale. Poche persone, mute e ben distanziate tranne che nel cuore.
Inarrestabile l'umanità, tenace testimone nel silenzio di un camposanto.
lunedì 11 maggio 2020
Adesso che ti ho salutato (sono contento)
Squilla il telefono, lo so che non si dice più così: urla la sua canzone rock di turno. Ma chi mi chiama, ha un ritmo più scatenato nel sangue.
Un mio giovane amico, perché ha superato gli ottanta, ma mica sarà vero. Questa quarantena lo sta facendo dannare, lui che era sempre in giro, spesso sulla sua bicicletta, e che maturava continue idee per tenere in movimento sé e il mondo. Gli chiedo: «Adesso esci qualche volta?»
- No, perché non mi piace uscire, in quel modo lì.
In quel modo lì: con mascherina, a distanza. Allora che cosa fa, questo ragazzino scatenato?
- Io telefono. Ascolto, parlo con le persone. Vedi, adesso che ti ho salutato sono contento.
Mi sento in colpa delle volte in cui avrei voluto chiamarlo io, e poi la telefonata improvvisa, la rogna di turno, poi era troppo tardi. Con un sospiro, penso anche a chi non mi risponde e poi il tempo di richiamarmi, sembra non trovarlo mai. Ma mi scopro a riflettere che davvero Dio scrive dritto sulle righe storte, anche nei quaderni semplici come questi piccoli, indispensabili momenti.
Almeno lui mi ha chiamato e mi ha detto queste parole che porto tenacemente nel cuore.
Un mio giovane amico, perché ha superato gli ottanta, ma mica sarà vero. Questa quarantena lo sta facendo dannare, lui che era sempre in giro, spesso sulla sua bicicletta, e che maturava continue idee per tenere in movimento sé e il mondo. Gli chiedo: «Adesso esci qualche volta?»
- No, perché non mi piace uscire, in quel modo lì.
In quel modo lì: con mascherina, a distanza. Allora che cosa fa, questo ragazzino scatenato?
- Io telefono. Ascolto, parlo con le persone. Vedi, adesso che ti ho salutato sono contento.
Mi sento in colpa delle volte in cui avrei voluto chiamarlo io, e poi la telefonata improvvisa, la rogna di turno, poi era troppo tardi. Con un sospiro, penso anche a chi non mi risponde e poi il tempo di richiamarmi, sembra non trovarlo mai. Ma mi scopro a riflettere che davvero Dio scrive dritto sulle righe storte, anche nei quaderni semplici come questi piccoli, indispensabili momenti.
Almeno lui mi ha chiamato e mi ha detto queste parole che porto tenacemente nel cuore.
Adesso che ti ho salutato, sono contento.
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domenica 10 maggio 2020
Frugare, lontano da noi
Mi scorre davanti questo nostro frugare pruriginoso nelle vite altrui. Che le persone camminino lungo i Navigli (ammassate già a priori nei nostri pensieri) o tornino da una prigionia che sembrava senza fine, non fa alcuna differenza per molti di noi.
Scrutiamo, raccogliamo ogni frammento di verità preacquisita, lo ributtiamo in piazza aggiungendoci i nostri truci sentimenti. Raramente mostriamo pietà, tanto meno con il silenzio, anche nei casi più drammatici. C’è sempre qualcosa che ci spinge a trovare la colpa altrui, e se sono vittime pare esserci più gusto a capovolgere il quadro iniziale.
Frugare, frugare lontano dalle nostre vite, forse perché dentro di noi non vogliamo rischiare.
Scrutiamo, raccogliamo ogni frammento di verità preacquisita, lo ributtiamo in piazza aggiungendoci i nostri truci sentimenti. Raramente mostriamo pietà, tanto meno con il silenzio, anche nei casi più drammatici. C’è sempre qualcosa che ci spinge a trovare la colpa altrui, e se sono vittime pare esserci più gusto a capovolgere il quadro iniziale.
Frugare, frugare lontano dalle nostre vite, forse perché dentro di noi non vogliamo rischiare.
La pioggia ha già capito
Mentre ancora la stavo aspettando, un mio amico mi ha raccontato la pioggia sul lago. Quel suo comparire in sordina e poi impetuosa, fino a smarrirsi ridendo. I profumi tutti attorno che si mischiano al suo: mi è sembrato di toccarli.
Finalmente, è arrivata anche da me: nella confusione di una giornata, che alternava lampi di felicità a ombre di stanchezza, eccola.
Anni fa spargevo rare parole, che cadevano sulla terra arida e ne venivano divorate, finché ho deciso che non avrei parlato affatto. In sere come queste, accarezzo il mio silenzio come la pioggia fa con me: è inutile parlare, perché lei ha compreso tutto.
La pioggia ha già capito che non c'è tempo da perdere, anche se il tempo non ci appartiene. Ha colto il velo amaro sul tuo volto e l'ha spazzato via, ha posato un bacio fuggevole ma pronta a schermirsi che no, scherzava. E mentre quel suo infuriare si traveste davvero da risata, la pioggia ha già deciso che deve andare a confortare qualcun altro e scivola via. Senza fretta, quella fretta che questo mondo spogliato delle sue certezze si ostina ancora a indossare.
Fretta di andare dove: la pioggia, non ce l'ha.
Finalmente, è arrivata anche da me: nella confusione di una giornata, che alternava lampi di felicità a ombre di stanchezza, eccola.
Anni fa spargevo rare parole, che cadevano sulla terra arida e ne venivano divorate, finché ho deciso che non avrei parlato affatto. In sere come queste, accarezzo il mio silenzio come la pioggia fa con me: è inutile parlare, perché lei ha compreso tutto.
La pioggia ha già capito che non c'è tempo da perdere, anche se il tempo non ci appartiene. Ha colto il velo amaro sul tuo volto e l'ha spazzato via, ha posato un bacio fuggevole ma pronta a schermirsi che no, scherzava. E mentre quel suo infuriare si traveste davvero da risata, la pioggia ha già deciso che deve andare a confortare qualcun altro e scivola via. Senza fretta, quella fretta che questo mondo spogliato delle sue certezze si ostina ancora a indossare.
Fretta di andare dove: la pioggia, non ce l'ha.
sabato 9 maggio 2020
È tornata domenica
È tornata domenica, quella laica, con la sua profondità solo sussurrata.
All’alba il traffico soltanto nei cieli, il vuoto sul viale come una carezza immobile. È tornata domenica, a ninnare dopo una settimana in cui il nostro mondo ha cercato di mettersi in moto: adesso si riposa, davvero.
È tornata domenica e oggi bisogna pure coccolare le mamme in cielo e in terra. Tra coloro che riceveranno abbracci inestimabili, ce n’è una la cui gioia varca ogni confine, per colmare poi la propria dimora. È tornata Silvia, mamma.
All’alba il traffico soltanto nei cieli, il vuoto sul viale come una carezza immobile. È tornata domenica, a ninnare dopo una settimana in cui il nostro mondo ha cercato di mettersi in moto: adesso si riposa, davvero.
È tornata domenica e oggi bisogna pure coccolare le mamme in cielo e in terra. Tra coloro che riceveranno abbracci inestimabili, ce n’è una la cui gioia varca ogni confine, per colmare poi la propria dimora. È tornata Silvia, mamma.
Solo felicità
Ho assaggiato tanti gusti nella vita e capisco che si possano confondere. Soprattutto, nel caso in cui si voglia seguire l’onda d’urto di un mondo ingrigito.
Eppure oggi, quando ho sentito della liberazione di Silvia Romano, di gusto ne ho sentito uno solo: quello della felicità.
In questa pandemia, anche dell’anima, non mi interessa altro: una donna è salva e che donna. Una di quelle che si prendono cura degli altri, costi quel che costi.
E io sono felice che qualcuno si sia preso cura di lei.
Solo felicità: il resto scivola via.
Eppure oggi, quando ho sentito della liberazione di Silvia Romano, di gusto ne ho sentito uno solo: quello della felicità.
In questa pandemia, anche dell’anima, non mi interessa altro: una donna è salva e che donna. Una di quelle che si prendono cura degli altri, costi quel che costi.
E io sono felice che qualcuno si sia preso cura di lei.
Solo felicità: il resto scivola via.
venerdì 8 maggio 2020
La certificazione
Contemplati i volti dei volatili puntati verso il cielo, torno ai nostri sulla Terra. Mi sembra di assistere a una sorta di evoluzione tutta umana: se non indossi la maschera, sei punito. Forse con un rimescolamento, se non capovolgimento, delle ragioni. Lo devi fare per proteggere gli altri, mentre prima - quando la maschera era impalpabile, se non invisibile - dovevi tutelare te stesso.
Una certificazione metaforica di ciò abbiamo spesso fatto. Perché bisogna avere il muso libero per scegliere se stare a terra o volare.
giovedì 7 maggio 2020
Il senso del capolinea
Ho fatto la pendolare della vita, su tanti treni sono salita con la sensazione anche di un’imbarazzante ubiquità. A volte, in preda alla distrazione, ho sbagliato a scendere, altre non sono scesa sbagliando ancora di più.
Fino a quest’epoca chiarificatrice che mi ha svelato il senso del capolinea. Ho già avuto modo di riflettere su come certi mondi si siano ritratti spontaneamente e siano tornati al loro posto.
Detto in altra maniera, sono arrivata al capolinea con quei treni. E con tutto il sollievo che ciò comporta. Quando il convoglio arriva alla meta finale, indipendentemente dal fatto che tu la apprezzi o no, hai la tranquillità di non poter più sbagliare. Hai incontrato tante persone, chi ti ha fatto ridere, chi ti ha commosso, chi ti ha aiutato e chi ti ha fregato. Di alcuni conserverai un bel ricordo o magari il numero.
Ma intanto tu sei sceso, perché dovevi, perché un nuovo viaggio ti attende oppure vuoi stare fermo per un po’.
Al capolinea, si è tutti spinti fuori, in un’unica direzione. A un certo punto, ti volti e non c’è più nessuno. Sai che quel viaggio è terminato, quella missione archiviata.
Il capolinea che hai cercato confusamente, alla fine ti ha trovato. E tu rivolgi a quel cartello consumato in stazione un saluto finale, traboccante di gratitudine.
Fino a quest’epoca chiarificatrice che mi ha svelato il senso del capolinea. Ho già avuto modo di riflettere su come certi mondi si siano ritratti spontaneamente e siano tornati al loro posto.
Detto in altra maniera, sono arrivata al capolinea con quei treni. E con tutto il sollievo che ciò comporta. Quando il convoglio arriva alla meta finale, indipendentemente dal fatto che tu la apprezzi o no, hai la tranquillità di non poter più sbagliare. Hai incontrato tante persone, chi ti ha fatto ridere, chi ti ha commosso, chi ti ha aiutato e chi ti ha fregato. Di alcuni conserverai un bel ricordo o magari il numero.
Ma intanto tu sei sceso, perché dovevi, perché un nuovo viaggio ti attende oppure vuoi stare fermo per un po’.
Al capolinea, si è tutti spinti fuori, in un’unica direzione. A un certo punto, ti volti e non c’è più nessuno. Sai che quel viaggio è terminato, quella missione archiviata.
Il capolinea che hai cercato confusamente, alla fine ti ha trovato. E tu rivolgi a quel cartello consumato in stazione un saluto finale, traboccante di gratitudine.
L'eremo prepara la strada
Pochi luoghi ho amato come l'eremo di San Salvatore. Quelle camminate lunghe e irresistibili, nel silenzio del verde, che conduceva nelle anche più silenziose mura. A volte, si insinuava il vociare dei turisti, sempre meno.
Io scendevo i fragili gradini e rimiravo le panche immaginando sonni che da scomodi diventavano ispiratori. Dalle finestrelle lo sguardo usciva e si impigliava sui rami, e immaginavo che secoli prima il lago Maggiore si offrisse ancora più generosamente. Gli inverni erano tormentosi, eppure a modo loro amici; le estati, fruscianti come preghiere.
Poi, il tempo ha ferito e chiuso questo angolo di pietra viva. Che ora si sta rianimando, coraggiosamente. Proprio mentre il virus ci inchioda a una vita che avvertiamo come limitata, queste porte ci annunciano che potranno aprirsi ancora.
La parrocchia di Massino Visconti lo annuncia su Facebook, premettendo: « Riprendono i lavori di restauro al complesso di San Salvatore a Massino Visconti. Purtroppo non sappiamo se riusciremo a concludere per la festa di agosto, le nuove norme sono stringenti. Confidiamo di poter realizzare questo sogno e trovarci tutti insieme!».
A me sembra un piccolo miracolo, che uomini e donne di buona volontà lo abbiano fatto rifiorire, proprio adesso. E poco male se l'eremo è corso avanti, quando noi eravamo ancora fermi.
L'eremo forse prepara la strada a un tempo spoglio di richieste senza senso e ricco di essenzialità. È rimasto chiuso nel suo dolore e ora ci aspetterà.
Perché io voglio tornare, nell'eremo incastonato nella verde collina, pregare di fronte alle cappelle e scendere poi quei gradini, diventare pietra viva e rianimarmi coraggiosamente, insieme.
GRAZIE A CHI SI IMPEGNA E SI IMPEGNERÀ
https://www.facebook.com/109053379764829/posts/524907398179423/?d=n
Io scendevo i fragili gradini e rimiravo le panche immaginando sonni che da scomodi diventavano ispiratori. Dalle finestrelle lo sguardo usciva e si impigliava sui rami, e immaginavo che secoli prima il lago Maggiore si offrisse ancora più generosamente. Gli inverni erano tormentosi, eppure a modo loro amici; le estati, fruscianti come preghiere.
Poi, il tempo ha ferito e chiuso questo angolo di pietra viva. Che ora si sta rianimando, coraggiosamente. Proprio mentre il virus ci inchioda a una vita che avvertiamo come limitata, queste porte ci annunciano che potranno aprirsi ancora.
La parrocchia di Massino Visconti lo annuncia su Facebook, premettendo: « Riprendono i lavori di restauro al complesso di San Salvatore a Massino Visconti. Purtroppo non sappiamo se riusciremo a concludere per la festa di agosto, le nuove norme sono stringenti. Confidiamo di poter realizzare questo sogno e trovarci tutti insieme!».
A me sembra un piccolo miracolo, che uomini e donne di buona volontà lo abbiano fatto rifiorire, proprio adesso. E poco male se l'eremo è corso avanti, quando noi eravamo ancora fermi.
L'eremo forse prepara la strada a un tempo spoglio di richieste senza senso e ricco di essenzialità. È rimasto chiuso nel suo dolore e ora ci aspetterà.
Perché io voglio tornare, nell'eremo incastonato nella verde collina, pregare di fronte alle cappelle e scendere poi quei gradini, diventare pietra viva e rianimarmi coraggiosamente, insieme.
GRAZIE A CHI SI IMPEGNA E SI IMPEGNERÀ
https://www.facebook.com/109053379764829/posts/524907398179423/?d=n
Di Poco, di Più
Su questi tempi falsamente immobili continuano a scorrere i quesiti di un'amica che non oso definire sapiente, perché lei si scrollerebbe via questa parola. È che pone domande così importanti, e io sono così scarsa su questo terreno che ammiro chi agilmente vi semina.
Di che cosa abbiamo bisogno, realmente? Che cosa ci hanno sussurrato o gettato in faccia questi tempi falsamente immobili?
Questa risposta è corsa avanti, nei miei pensieri: di Poco.
Io ho capito di aver bisogno di poco, tante necessità schiaffate dentro la mia vita da prepotenti consuetudini o da inerzie mie: spesso, entrambe le cose.
E allora, mi sono chiesta come potrei definire quel poco. Chiudendo gli occhi, vedo pezzi di cielo e fili d'erba, uno sguardo sincero, anche sconosciuto, una visita casuale in chiesa quando c'è mio fratello.
Non calcoli febbrili su ciò che puoi permetterti o che puoi accumulare, non amici che quando chiami o messaggi scivolano via tanto che mai sarà, non persone che sanno cosa chiederti di fare senza soffermarti su ciò che sei, non ruoli pomposi ma gesti silenziosi.
Una corsa nel prato, un raggio di sole, un poltrire sul divano felice come una gatta. Quel poco che avevo da bambina, a costo di bambina diventare ancora.
E quel Poco è così immenso, nella sua essenzialità, da essere Più.
Sì, io avrei bisogno di Poco. Di Più.
Di che cosa abbiamo bisogno, realmente? Che cosa ci hanno sussurrato o gettato in faccia questi tempi falsamente immobili?
Questa risposta è corsa avanti, nei miei pensieri: di Poco.
Io ho capito di aver bisogno di poco, tante necessità schiaffate dentro la mia vita da prepotenti consuetudini o da inerzie mie: spesso, entrambe le cose.
E allora, mi sono chiesta come potrei definire quel poco. Chiudendo gli occhi, vedo pezzi di cielo e fili d'erba, uno sguardo sincero, anche sconosciuto, una visita casuale in chiesa quando c'è mio fratello.
Non calcoli febbrili su ciò che puoi permetterti o che puoi accumulare, non amici che quando chiami o messaggi scivolano via tanto che mai sarà, non persone che sanno cosa chiederti di fare senza soffermarti su ciò che sei, non ruoli pomposi ma gesti silenziosi.
Una corsa nel prato, un raggio di sole, un poltrire sul divano felice come una gatta. Quel poco che avevo da bambina, a costo di bambina diventare ancora.
E quel Poco è così immenso, nella sua essenzialità, da essere Più.
Sì, io avrei bisogno di Poco. Di Più.
mercoledì 6 maggio 2020
Basta la direzione
Nel nostro girovagare all’alba, ci fermiamo spesso a fissare la luce calda all’orizzonte. Come oro liquido, raccolto dalle mani.
In quel momento sappiamo qual è la direzione o così ci pare. Quella in cui troveremmo il senso primo e pieno. Invece, torniamo alle nostre mete meccaniche, ma con una strana felicità. Come se bastasse sapere che c’e Una direzione.
E forse basta davvero.
martedì 5 maggio 2020
Sul balcone di Montalbano (mi sono risvegliata)
Nella mia relazione complicata con la televisione, lui ha offerto un balsamo sulle ferite di questo periodo. Che non mi piace tanto definire lockdown, perché questa "chiusura" si è rivelata per me meno ermetica di quanto temessi: ha permesso a tanti lati, desideri, timori anche, di uscire.
Parlo di Montalbano: non importa se fossero repliche, io avvertivo tutta la freschezza del suo arrivo. L'unico appuntamento in tv che ho aspettato davvero, in una giungla dominata dalla comunicazione sul virus, e neanche spesso chiarificatrice.
1 Un balcone sul mare: mi sistemavo sul balcone a respirare quel mare che si intrufolava nell'aria. Mi piacciono quelle colonnine che lo sostengono, ma permettono di sbirciare già la bellezza del manto azzurro frusciante. Io adoro quella Sicilia che non ho mai potuto vedere dal vivo, anche nelle storie e nei caratteri della gente: ecco che mi sento a casa.
2 Ascolto infatti una marea di espressioni deliziose, come tutte quelle che vengono dal cuore di una terra.
3 La trama avvincente, i caratteri uniti da un filo rosso dell'umanità.
4 In questo periodo, spesso più stremata che mai dalla giornata e dai pensieri, ecco che a metà puntata mi è accaduto di addormentarmi. Più una volta. Ma mica per disinteresse o noia, ci mancherebbe. Al contrario, mi sentivo così a casa che mi lasciavo andare.
5 Poi mi risvegliavo. Prima della fine, non temete. Mi mancavano dei pezzi ufficialmente (prima di questo periodo drammatico, non avevo seguito ogni puntata), eppure approdavo alla soluzione del caso con il commissario Montalbano, cogliendo tutto nella sua interezza.
6 Ecco, perché sono grata a Camilleri, al commissario Montalbano e a tutti coloro che mi hanno tenuto compagnia, no, che mi hanno letteralmente convocata il lunedì sera di persona personalmente.
Non ho atteso Montalbano con la frenesia di Twin Peaks (l'unica serie che ho seguito completamente, da ragazza, rassegnandomi a una registrazione solo in un'occasione), né con la devozione pacata di Barnaby.
Perché questa è un'epoca diversa e diversa sono io. Anzi lo voglio essere sempre più più: sul balcone di Montalbano mi sono risvegliata. Meglio.
Parlo di Montalbano: non importa se fossero repliche, io avvertivo tutta la freschezza del suo arrivo. L'unico appuntamento in tv che ho aspettato davvero, in una giungla dominata dalla comunicazione sul virus, e neanche spesso chiarificatrice.
1 Un balcone sul mare: mi sistemavo sul balcone a respirare quel mare che si intrufolava nell'aria. Mi piacciono quelle colonnine che lo sostengono, ma permettono di sbirciare già la bellezza del manto azzurro frusciante. Io adoro quella Sicilia che non ho mai potuto vedere dal vivo, anche nelle storie e nei caratteri della gente: ecco che mi sento a casa.
2 Ascolto infatti una marea di espressioni deliziose, come tutte quelle che vengono dal cuore di una terra.
3 La trama avvincente, i caratteri uniti da un filo rosso dell'umanità.
4 In questo periodo, spesso più stremata che mai dalla giornata e dai pensieri, ecco che a metà puntata mi è accaduto di addormentarmi. Più una volta. Ma mica per disinteresse o noia, ci mancherebbe. Al contrario, mi sentivo così a casa che mi lasciavo andare.
5 Poi mi risvegliavo. Prima della fine, non temete. Mi mancavano dei pezzi ufficialmente (prima di questo periodo drammatico, non avevo seguito ogni puntata), eppure approdavo alla soluzione del caso con il commissario Montalbano, cogliendo tutto nella sua interezza.
6 Ecco, perché sono grata a Camilleri, al commissario Montalbano e a tutti coloro che mi hanno tenuto compagnia, no, che mi hanno letteralmente convocata il lunedì sera di persona personalmente.
Non ho atteso Montalbano con la frenesia di Twin Peaks (l'unica serie che ho seguito completamente, da ragazza, rassegnandomi a una registrazione solo in un'occasione), né con la devozione pacata di Barnaby.
Perché questa è un'epoca diversa e diversa sono io. Anzi lo voglio essere sempre più più: sul balcone di Montalbano mi sono risvegliata. Meglio.
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lunedì 4 maggio 2020
Una sola nuvola
Una sola nuvola. Mi sembra così il cielo di una liberazione gridata, ma non vissuta. Mi fermo a guardarlo e capisco perché mi attira così intensamente.
Una sola nuvola, mi sento io. Energie, ricerca dolorosa, compresse nel mio piccolo cielo: ogni
tanto si affaccia un orizzonte che fugge senza pudore.
Una sola nuvola, siamo noi.
tanto si affaccia un orizzonte che fugge senza pudore.
Una sola nuvola, siamo noi.
Sempre da un'altra parte
In questo periodo mi è mancato anche di più del fiume e del caffè, le uniche astinenze che ho potuto ufficialmente estrarre dal cassetto.
Questa mattina mi è apparso un lampo di quelli che durano e avvolgono sciogliendo il dolore in consapevolezza.
Quello che mi è mancato, è ciò che mi sono tolta e che ho tolto prima. Prima che si scatenasse questo pandemonio, e ci lasciasse tutti spaventati ed esposti.
Mi è venuto in mente, attraversando questa strana giornata, in cui sono tornata in auto per lavoro, ho incontrato persone che cercavano di impostare questa "fase 2" in azienda, donne per lo più e questo mi ha caricata ulteriormente. Poi rientrando con una stanchezza strana, di chi non era più abituato a girare, i miei occhi si sono posati su una casa magica. Dove abitavano due saggi.
Non voglio soltanto fustigarmi, poiché sono contenta di aver trovato periodicamente il tempo per andarli a visitare, fare gli auguri o scambiare un saluto in una giornata estiva. Tuttavia, avevo sempre l'orologio in mano e sempre dovevo andare da un'altra parte.
Adesso, per due mesi, questo bizzarro contrappasso: non sono potuta andare da nessuna parte. Mi sono fermata, ciò che avrei dovuto fare - in maniera differente - prima.
In quelle visite mordi e fuggi, avevo pur ascoltato storie immense: lei - con la sua eleganza che non allontanava - mi apriva porte sulle mie radici, lui con una voce meravigliosa conduceva in episodi che confinavano e confluivano nella storia.
Ma non l'ho fatto abbastanza. Non avevo mai abbastanza tempo.
Tempi contingentati: quest'ultimo aggettivo acquista un senso così diverso ora. Ma prima, i tempi, gli spazi, gli accessi alla nostra vita li contingentavamo, limitavamo noi? Io, senz'altro.
Quello che mi è mancato, è prima... E anche se sembra perduto, mi dico di no: che posso recuperarlo, nel futuro. Fermandomi mezz'ora di più ad ascoltare qualcuno e me stessa: anche se l'orologio e l'agenda mi urlano che non posso.
A proposito, l'agenda nuova e bellissima, non la uso più. Per ora. Ma quando la riprenderò in mano, proverò a far sì che lei non usi me.
Questa mattina mi è apparso un lampo di quelli che durano e avvolgono sciogliendo il dolore in consapevolezza.
Quello che mi è mancato, è ciò che mi sono tolta e che ho tolto prima. Prima che si scatenasse questo pandemonio, e ci lasciasse tutti spaventati ed esposti.
Mi è venuto in mente, attraversando questa strana giornata, in cui sono tornata in auto per lavoro, ho incontrato persone che cercavano di impostare questa "fase 2" in azienda, donne per lo più e questo mi ha caricata ulteriormente. Poi rientrando con una stanchezza strana, di chi non era più abituato a girare, i miei occhi si sono posati su una casa magica. Dove abitavano due saggi.
Non voglio soltanto fustigarmi, poiché sono contenta di aver trovato periodicamente il tempo per andarli a visitare, fare gli auguri o scambiare un saluto in una giornata estiva. Tuttavia, avevo sempre l'orologio in mano e sempre dovevo andare da un'altra parte.
Adesso, per due mesi, questo bizzarro contrappasso: non sono potuta andare da nessuna parte. Mi sono fermata, ciò che avrei dovuto fare - in maniera differente - prima.
In quelle visite mordi e fuggi, avevo pur ascoltato storie immense: lei - con la sua eleganza che non allontanava - mi apriva porte sulle mie radici, lui con una voce meravigliosa conduceva in episodi che confinavano e confluivano nella storia.
Ma non l'ho fatto abbastanza. Non avevo mai abbastanza tempo.
Tempi contingentati: quest'ultimo aggettivo acquista un senso così diverso ora. Ma prima, i tempi, gli spazi, gli accessi alla nostra vita li contingentavamo, limitavamo noi? Io, senz'altro.
Quello che mi è mancato, è prima... E anche se sembra perduto, mi dico di no: che posso recuperarlo, nel futuro. Fermandomi mezz'ora di più ad ascoltare qualcuno e me stessa: anche se l'orologio e l'agenda mi urlano che non posso.
A proposito, l'agenda nuova e bellissima, non la uso più. Per ora. Ma quando la riprenderò in mano, proverò a far sì che lei non usi me.
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domenica 3 maggio 2020
Il mondo si sincera
Nuovi colori dipingono Assisi, e non ho occhi per afferrarli tutti. Di passo in passo, cede alla primavera e io penso di poter fare concessioni a mia volta.
La giacca che tenacemente indosso all'alba e la notte, può rintanarsi a riposare. Sta iniziando la fase 2, ma non posso ancora guardare lontano. Mi aiuta chi condivide la sua primavera.
L'amico dall'Umbria si sincera che stiamo bene, da loro il contagio sta scappando. E anche più vicino dal lago di Como, mi viene suggerito con le immagini che si respira una nuova pacatezza.
Il mondo si sincera su come stai. Tu, ti sinceri che esista ancora il mondo, mentre compi i primi passi fuori.
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Quello che metto da parte per raccontarti
Che non ci sia alcuna Liberazione, casomai un'assunzione di impegno, come quando cerchiamo di diventare adulti, mi viene confermato dalla frase di un amico.
Uno di coloro che mi hanno permesso di arrivare fin qui, tenace tra gli sbandamenti. Oggi al telefono mi diceva che a volte pensa a qualcosa e osserva dentro di sé: questo, lo devo raccontare a Marilena quando la vedrò.
E ancora non possiamo vederci. Perché siamo amici, non congiunti, nonostante il filo che ci lega sia così stretto da tremare e sognare per l'altro.
Quello che metto da parte per raccontarti: mi appare come un tesoro, che nemmeno potrò sfiorare in questi giorni di Fase 2. Perché non è congiunto lui, come altre persone così care a me. E perché abbiamo paura: mica dobbiamo nascondercelo. Perché ciascuno di noi ha qualcuno da proteggere e temiamo di non compiere il gesto giusto.
Quello che metto da parte per raccontarti, guardandoti negli occhi, ha il sapore della libertà.
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sabato 2 maggio 2020
Solo l’inizio
Sui lineamenti urbani un filo di trucco, naturale. Si va in scena: perché questo potrebbe essere la Fase 2. Solo l’inizio di nuove recite e autoconvincimenti, giochi di società con monete false e luccicanti.
Oppure no. Potremmo rimanere a guardare l’alba e decidere di essere come lei: rispettosa e sincera, fiammante e generosa, su ogni forma di vita si posa per (aiutarla a) essere migliore.
Potrebbe essere solo l’inizio. Di quello che vogliamo, scegliamo.
Contròllati
Basterebbe spostare un accento per tornare liberi. Contròllati. Non danneggiare gli altri con una tua scelta, questa è la vera libertà.
Tieni la mascherina, come un sorriso negli occhi. Sono entrambi dei salvavita, in uno scenario dove incombono il nuovo virus e una disumanità di vecchia data.
Controllàti. Non è questione di farsi seguire, come in un film poliziesco. Controllàti, no.
Ma prendere in mano la nostra vita, per proteggere gli altri, ha un sapore dolcissimo. Forse, solo, ha un sapore rispetto all'anonimo gusto che abbiamo divorato troppo spesso.
Tieni la mascherina, come un sorriso negli occhi. Sono entrambi dei salvavita, in uno scenario dove incombono il nuovo virus e una disumanità di vecchia data.
Controllàti. Non è questione di farsi seguire, come in un film poliziesco. Controllàti, no.
Ma prendere in mano la nostra vita, per proteggere gli altri, ha un sapore dolcissimo. Forse, solo, ha un sapore rispetto all'anonimo gusto che abbiamo divorato troppo spesso.
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venerdì 1 maggio 2020
Vuoto a non perdere
Lentamente ci muoviamo dentro questo vuoto che anche più piano si scioglie. Forse perché le abbiamo esplorate tutte, le mattine, non vivremo scossoni lunedì.
Ma l’unica traccia di certezza (parola che cancellerei sempre, già a metà) è che sarebbe ancora più drammatico se tutto ciò si rivelasse un vuoto a perdere. Se chiudessimo frettolosamente un capitolo, anche solo per spirito di sopravvivenza.
Lo stordimento di questa fase 1 - talvolta ci sussurriamo - potrebbe essere superato da quello di riaccogliere tutto il traffico di impegni vani, di correnti senza pensiero, di irrealtà spacciata per normalità? Un nuovo vuoto, dipinto di pieno, freme già.
Ma l’unica traccia di certezza (parola che cancellerei sempre, già a metà) è che sarebbe ancora più drammatico se tutto ciò si rivelasse un vuoto a perdere. Se chiudessimo frettolosamente un capitolo, anche solo per spirito di sopravvivenza.
Lo stordimento di questa fase 1 - talvolta ci sussurriamo - potrebbe essere superato da quello di riaccogliere tutto il traffico di impegni vani, di correnti senza pensiero, di irrealtà spacciata per normalità? Un nuovo vuoto, dipinto di pieno, freme già.
Il mondo (di) cinque anni fa
Cinque anni fa il mondo. O il mondo di cinque anni fa. Risento l'eccitazione di varcare la soglia di Expo2015, poter ascoltare voci e nazioni diverse, addentare una cultura nuova. Ho parlato con tutti, persino con una mela.
Quel primo giorno era una promessa e nei mesi seguenti si è in parte mantenuta. In parte, perché di fronte all'immensità del pianeta e alla mia piccolezza ho colto briciole qua e là. Mi sono rimasti dentro Paesi che prima non guardavo con troppo interesse, dalla lontana Colombia alla più vicina Polonia. Ho avvertito l'impegno che incalzava, ma ancora non riuscivamo a prendere sul serio, per la Terra. Ho sentito, complice il libro che stavo scrivendo, che dovevo incamminarmi sul sentiero del rispetto per le creature diventando vegetariana: piano piano, sarebbe successo. Mi ricordo una fiammata lì, anzi due.
La scena di un animale non solo ucciso, ma esposto dileggiandolo. Non me la toglierò più dalla mente e lì ho cominciato a ribellarmi.
E poi, nella mente mi inseguivano le parole di un uomo straordinario come Elio Fiorucci: l'ode alle creature che mi fece durante un'intervista poche settimane prima, quella che conservo ancora gelosamente nelle mie carte virtuali. Gli appunti, più dell'intervista.
Eppure oggi ciò che grida, forse che stride, è quella folla da tutto il mondo, che il mondo voleva scoprire.
Adesso siamo rintanati nelle nostre case, per salvarci, e sbirciamo gli altri come stanno alla finestra della tv.
Il mondo cinque anni fa, quando eravamo sicuri di poterlo cambiare. E adesso, dobbiamo cambiare noi. Forse finalmente.
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