Mentre non dormivo, ripensavo alla mia puntata di True Blood e alla saggia riflessione di Michele. Liberata dalla tv del dolore (masticato e sputato), prendevo appunti dal mio piccolo testo di filosofia per sopravvivere. Almost human, diceva una canzone: quasi umano. Com'erano umani quei vampiri, questa figura a caccia di immortalità che pur deve arrendersi.
Uno di loro - apparentemente crudele e detestabile all'inizio - pronto a rischiare per salvare colei che è legata a lui, riconosce: tutto finisce, anche noi. Una constatazione, un'arrendevolezza, uno spalancare la porta sulla realtà umana. Michele mi scrive cos'ha imparato lui da True Blood: le persone migliori sono quelle più "sopra le righe" e meno modificabili.
Anche questo è vero. E insieme ci siamo trovati su Lafayette. Essere umano che spaccia il sangue di vampiro - la droga di questo mondo - e sembra essere in cerca di denaro e sesso nelle prime puntate. Poi scopriamo che quei soldi gli servono per la madre; vuole ritirarsi, ma viene incastrato dai vampiri. La ricerca del sesso, del suo stesso sesso, si rivela per ciò che è: una ricerca di amore. Lafayette è dolcissimo quando si innamora e tremo per lui, che abbia davanti a sé il ragazzo giusto, che non lo ferisca ancora. Lafayette c'è sempre, a consolare, a confortare, a sfamare, a lottare se deve. Con il mascara sugli occhi o senza.
Nel mondo gli affibbierebbero un sacco di etichette spiacevoli. Ma lui vola sempre oltre tutto. Maschera triste, cuore gentile.
Siamo tutti quasi umani.
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