Ieri ho rivisto Daniele Belosio dopo alcuni mesi e mi sono rallegrata, studiandolo. Non è cambiato, no davvero.
Quando ero ragazzina, mi ricordo il primo servizio giornalistico con lui pronto a scattare foto. Era in un campo nomadi e non eravamo gli idoli della folla. Nelle settimane che seguirono, facemmo un sacco di inchieste in posti dove in ordine c'erano 1) smog da intenso traffico sulla Statale in cui dovevo uscire io per fermare (e intervistare) i camionisti 2) vicini di una discarica che soffrivano per la puzza. E via di questo passo. Ma anche (e soprattutto) quando non eravamo tra fiori e vip, eravamo felici.
Daniele era una guida, e lo è ancora. Perché dopo vent'anni ha cambiato tipo di macchina fotografica, ormai è supertecnologico, ma la passione è la stessa. Perché riesce a cogliere la poesia, anche dove uno non la trova nemmeno a sforzarsi per ore: a lui basta un'intuizione.
Da quei primi passi, è rimasto così. Molto più di me. E gli sono grata.
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