martedì 18 giugno 2013

Il dialetto e gli oggetti scomparsi

Mentre sfoglio le parole scolpite dal pà Carloeu, mi sfiora una tristezza testarda. Ci sono parole che non so pronunciare in  italiano (tradurre è termine orribile).

Perché non esistono più. Sono scomparse dalla nostra vita, cittadina e non solo. Ricordo la bella lezione di dialetto nell'ultima trasferta calcistica. Il guaio principale era che quelle parole non potevano essere trasmesse in italiano, proprio perché si riferivano soprattutto ad oggetti che ormai non facevano più parte della nostra vita. E quindi erano spariti, inghiottiti pure dall'oblio linguistico, dopo quello di conoscenza.

che cos'è la canzulina? Infuso a base di sugo di liquirizia. Non esiste una parola che la catturi o la liberi. Né io la berrò più. Cavastrel. Gli allevatori ancora la conoscono, immagino: museruola che si mette ai vitelli da latte per evitare che mangino strame. Io non la saprei indicare. La nisciuina, donnola, non saprei riconoscerla in alcun modo, né so se da queste parti esista ancora.


Poi ci sono le parole che so dire in italiano, ma non le scorgo pressoché più... Non c'è motivo per pronunciarle. Una simbolica? Càsia, ovvero carrube. Mi riportano alla prima vacanza al mare, da bambina. Ero in Liguria e chissà perché proprio le carrube ricordo così nitidamente. Forse, perché poi non le ho viste più.

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