Una puntura, ma la sentivo. C'è stato un momento in cui ho avvertito rimorso allo stadio e la scorsa notte è affiorato un paio di volte ancora. Quando ho danzato sulla sconfitta avversaria anche per ciò che comportava: i playout.
Mi pento, da una parte, perché non voglio augurare la sofferenza a nessuno. Mi ricordo ancora quando ero tesa e triste anni fa, a una nostra incursione a Legnano per la loro retrocessione mentre noi tornavamo dalle battaglie per la B; gli amici mi hanno anche sgridata. Non ci ha portato bene, quel gesto, ma mi spiaceva proprio in sé, persino contro la nostra rivale per eccellenza.
Ieri mentre danzavo ho girato lo sguardo e in quell'istante ho visto volti tristi oltre la barriera. In quel momento ho avvertito la puntura.
Me ne sono liberata, mettendo a fuoco il problema: il calcio è cercare di vincere con le proprie forze e senza guardare in faccia a nessuno, non è fare favori per alcun motivo. Noi dovevamo vincere e basta. Lo dovevamo a noi stessi e al calcio pulito.
A noi, nessuno ne ha mai fatti, di favori. Grazie a Dio. Sì, grazie a Dio, perché la mia Pro Patria può andare a testa alta. Non ha mai comprato mezzo piacere, né l'ha mai elemosinato.
Soffriamo, ma siamo noi stessi, liberi e orgogliosi.
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