Vecchie foto da un cassetto, le sfoglio tutte per tutti ritrovare. Mi soffermo, però, su di te. Sbarazzina, poi timida, infine nell'ultimo percorso su quella poltrona che prima mi pareva il tuo trono, poi il tuo rifugio.
Il gatto che ci metteva tutti in riga, e che si inchinava solo a te. E non sempre, perché doveva ricordarti che era lui il sovrano del tuo cuore. Tu lo prendi in braccio e lui finge di stare tranquillo, anche il campanello immobile, lo sguardo che tradisce solo un po' di insofferenza: perché vogliono fotografarmi?
Ricordo quando papà giocava alla morra con lui, con scherzone finale. Tu ridevi, il micio mica tanto.
Sei bella, sbarazzina, così indipendente da non lasciarti capire da quel tuo tempo rigoroso. Se ci ripenso, a quegli ultimi mesi, in cui eri intrappolata nel tuo corpo, mi viene il magone. Ma poi penso al tuo sguardo, incredibilmente sbarazzino, anche allora. Nessuno ti ha mai veramente catturata. Finché sei diventata libera, del tutto.
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