Appartengo a un Paese (e anche qualcosa più in là) che sta vivendo uno strazio profondo. Si muore a scuola per un pazzo, per un vile e chissà cos'altro, quanti altri. Si muore al lavoro, nei turni più pesanti, quando la natura decide così: e vorremmo trovare un senso almeno in lei, ma non ci riusciamo.
Diciamo che si ribella per colpa nostra, ma sai che consolazione. Muoiono persone che hanno la fortuna di avere un lavoro, così lo consideravano probabilmente in un tempo instabile come questo. Che avevano la passione o la necessità per quella professione: professione che le portavano appunto a lavorare anche di notte. Sai quanti avrebbero rifiutato, che ci piaccia o no.
Si muore a scuola, si muore al lavoro. Questa è l'Italia, e molto di più, perché tra gli operai c'è un giovane marocchino. Uno che si rallegrava di poter lavorare e costruire una vita, mentre incombevano le macerie.
Felice, finché una ferita mortale è stata inferta anche a quella terra, dove lui si impegnava per migliorare le condizioni dell'esistenza propria e altrui.
Mi viene una triste considerazione, di cui chiedo perdono in anticipo per la banalità. Si sta bene solo a far niente, in questo Paese. Mal che vada ci si candida a qualcosa e si va avanti per anni a spese degli altri.
Chiedo perdono perché sono triste, chiedo perdono perché sono furibonda. Lo chiedo, e so di non meritarlo.
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