Prima di incontrarti, ti voglio raccontare una storia, anche
se non so se ti avvicinerà a me, cagnolino: è solo una storia. Prima di te, ho amato due volte dei cagnolini, e
intensamente; come intensamente ho sofferto.
Oggi ti voglio parlare di Briciola, la mia assoluta bambina.
Era uno spettacolo, cicciottella e agile, con il pelo caffelatte, e la pancia
bianca lentigginosa: capisci che era già la mia bambina, prima che venisse alla
luce ancora.
Quando era cucciola e cercava di fare la peste per vocazione
e per strappare simpatia, la stordivo di corse la sera, poi le pucciavo il muso
nel latte e vedevo la sua linguetta soddisfatta che riforniva il fisico
gioiosamente esausto per lo sforzo fisico. Quindi si rifugiava sulla mia pancia
e io l’accarezzavo finché non si addormentava; la portavo nella sua cuccia,
sperando in una (nostra) lunga notte di sonno. Invece, all’alba si svegliava,
rabbiosa perché si trovava sola, e mi toccava portarla fuori sulla collina
deserta, sperando di non incrociare un cane più grande di noi.
Ricordo le interminabili passeggiate in cui le spiegavo che
non poteva destare così l’intera casa, e se poteva avere un po’ di pietà di me,
grazie. Lei mi saltava addosso, cancellando tutti i miei rimproveri con le sue
leccatine.
L’emozione più dolce, tuttavia, era ritrovarsi. Quando ero
via, friggevo, e anche lei, lo so. Quando tornavo, lei sentiva il mio richiamo
fin da lontano, anche se si era ficcata in qualche avventura con le mucche.
Piantava tutto.
Lei udiva la mia voce. Io un rumore meraviglioso che non ho
più sentito, e che anche ora nel ricordo mi procura un nodo alla gola: la sua pancia che
sfiorava l’erba, nello slancio frenetico per arrivare fino a me. Finché poteva
posarla a terra per una carezza, poi salti folli e baci teneri.
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