Il palazzo è sempre uguale, e a me sembra centomila volte più bello delle prodezze urbanistiche fiorite attorno. È dove ho trascorso ogni festa da bambina, dove sono rimasta quando la mamma era in ospedale, dove ho giocato selvaggiamente a flipper, dove mi sono ribellata quando la zia pazientemente cercava di darmi la frutta cotta.
Tanti dove... Dove come in un santuario, nella camera dei nonni, sbirciavo i miei avi. Non ho mai vissuto lì, se non nei giorni d'emergenza. Eppure anche quella, così lontana nel tempo, è cá. Un pavimento tirato a lucido, un profumo sobrio, una tavola imbandita cui si sfuggiva per aprire i regali.
Guardo il palazzo, dove ho anche la fortuna di entrare, grazie a uno mio amico che ha lo studio lì. Ma salire fino a cá, su quell'ascensore, l'ho fatto solo una volta. E davanti alla porta, ho sentito come una puntura nell'anima, finché mi sono allontanata.
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