Osservo lo scambio di pareri e io non so che cosa dire. Peggio, non so cosa sia giusto.
E' morto un ragazzo, non un calciatore. Un ragazzo costretto a essere uomo presto, della cui vita, dei suoi sacrifici, prima non sapevo niente. E già parto spiazzata. Sono qua a sondare nella mia mente quale forma di accanimento sia in grado di sviluppare il destino, e altri ragionamenti scontati. Mi aggrappo a don Gnocchi, che in fatto di dolore e reazione costruttiva è un maestro fondamentale. Lui afferma che "ogni volta che viene il dolore, bisogna sperimentare una forza inattesa e insospettata che viene a sostenerci". La grazia mandataci per sopportare la Croce.
Questo ragazzo, che si chiamava Morosini e giocava a calcio, ma nella vita faceva molto di più, se n'è andato. E molti si scontrano sul fatto se fosse necessario o no sospendere le partite. Io non lo so.
Francamente, mi importa anche poco. Di fronte all'interrogativo più pesante e pressante. Quello, anche, più antico, che scuote un perché.
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