Niente da fare, i tweet di un bravo esploratore che fa nascere meraviglie dalla terra, mi obbligano a tornare a New York. A quella fuga di due ore: scusate, mi assento.
E salgo su un battello, dai facciamo un po' la turista. Alle spalle la Manhattan ferita per sempre, davanti la Statua della libertà che chiama. Non è solo scena. C'è un momento perfetto, dunque irripetibile (è una caratteristica della perfezione, me lo dite?), in cui si afferma gioiosa una scia di libertà. Quella della barca, quella tracciata nell'aria dalle ali di un uccello, la mia che si unisce con docile felicità.
Ancora oggi, nel cassetto libertà un posto speciale è occupato da quel momento, in cui la gioia dell'aria e dell'acqua, riversata in frammenti dolcissimi, accarezza il mio volto e mi assicura che potrò fare tutto. Proprio tutto.
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