Una pioggia di immagini mi conducono lontana, indietro. Nel 2013 saranno dieci anni dalla morte di Gene Anthony Ray. Di Leroy Johnson, come lo conosciamo tutti noi.
Fame, lo vedevo all'infinito da ragazzina. Era la seconda ragione per cui amavo l'estate, dopo la fine della scuola: repliche assicurate, a raffica. E anche se le conoscevo a memoria, io non potevo mancare. Ero lì con quei ragazzi a suonare e cantare. Ballare un po' meno, perché gli elefanti non erano ammessi alla scuola mitica di New York.
Leroy, l'ho avvertito in tutta la malinconia, quando l'ho avvistato sullo schermo italiano, in qualche trasmissione televisiva. Era già in partenza, in punta di piedi.
A novembre, nel giorno più brutto della terra, saranno dieci anni. Ma se chiudo gli occhi, lui è ancora lì, caparbio nel voler essere famoso. E se li riapro, sta ancora ballando.
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