C'è una lettera, la più importante che abbia ricevuto nella mia vita professionale, che mi ritorna in mente. Anzi, non mi abbandona mai. Ero una ragazzina, carica di certezze, e purtroppo mi occupavo anche di nera,
Un giorno scrissi di un caso come tanti per noi e per i lettori, ma non per gli esseri umani, senza aggettivi. Un dramma familiare, per fortuna non sfociato in tragedia. Indagava una persona che ritenevo affidabilissima e così la reputo ancora.
Scrissi, senza esitazioni e con sdegno. Dopo pochi giorni mi arrivò una lettera dal figlio arrestato per aver infierito sul padre. L'accusato. Mi chiese come potessi sapere con tanta certezza cosa fosse successo lì, fiumi di parole dure come la roccia, che bruciavano.
Aveva ragione. Fosse stato anche colpevole al 100 per cento, l'aveva da vendere.
Avevo fatto la giornalista, il poliziotto e il giudice (escludendo però tutti i testi della difesa, irrintracciabili).
Quella lettera mi ha sempre accompagnata e ho sempre cercato di pensarvi prima di scrivere e anche di parlare. Ciononostante, ho sbagliato e sbaglierò tanto. Tuttavia, ogni attimo di esitazione benedirò, ringraziando quell'uomo che da uomo dovevo trattare, anche scrivendo, così come avevo avuto pietà per suo padre, il primo a perdonarlo.
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