domenica 5 aprile 2020

Come se avessi voluto diventare John McEnroe

Ogni sera è una lotta per non immergermi in una tv, che da indifferente è diventata causa di ansia e confusione per me. Con diligenza mi do alla loro ricerca di film da mordicchiare, anche tardivamente, a parte il lunedì di Montalbano, che è una partita a sé.

Ma stasera mi hanno convocato Borg e McEnroe (quanta fatica nel non invertire l'ordine) e non ho potuto rifiutare. La lotta c'è stata, comunque: un po', perché non volevo rivedere gli istanti finali di quella partita, poi perché vacillo ogni volta che compare Gerulaitis: forse il mio vero preferito di tennisti rockstar, per la sua umanità disarmante.

Ogni incontro, persino un bis ti denuda con epifanie e io ho ripensato a come adorassi McEnroe. Quello in cui mi rispecchiavo, ribelle per definizione. Poi ho guardato dentro Borg, messo a nudo senza crudeltà in questa pellicola, specialmente nelle parole attribuite a Vitas.

Non è un ghiacciaio, ma un vulcano. Quello che tiene dentro, rovente e inespugnabile finché esplode. 

Ho sempre agito come se avessi voluto diventare McEnroe, fuoco e fiamme, anzi magari già mi illudevo di esserlo, così era più comodo occultare la mia identità: quella di un vulcano, che si è tenuto molto dentro, troppo a lungo.

Adesso ammiro John perché è stato un campione non solo nello sport. E guardo con tenerezza Borg. E ancora di più me stessa.

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