martedì 14 aprile 2020

Disarman(t)i contro la morte

Anch’io ho smesso di guardare ogni conferenza stampa sui numeri di questo massacro, perché continua a essere un massacro. Mi procura un certo fastidio anche leggere le dichiarazioni poi.

C’è spesso un “solo” di troppo, una parola che non dovrebbe anticipare l’annuncio di una morte, figurarsi di centinaia. Una frase maldestra che strappa il cuore. Un’ombra di sorriso che strapperesti invece tu dal volto.

Sì è disarmati, a volte anche disarmanti di fronte alla morte.

Io la prima l’ho intravista a sei anni, quella della mia nonna, la più giovane, inchiodata a una vita di quarantena da molti anni per una malattia che allora non aveva cure. Aveva subìto già altri ricoveri nella sua vita. Durante l’ultimo,  ricordo che papà cercava di distrarmi. Io ero troppo piccola per comprendere, mi era chiaro solo che la mamma non era lì con me, ma in ospedale a curare la nonna che era stata bellissima e orgogliosa da giovane (per non parlare del nonno, che si stimava tutto) ma da tempo era così fragile: un’unica foto sul balcone di casa nostra me lo ricorda.

C’era un libro di storie divertenti da sfogliare e una delle ultime sere in cui mamma rientrò, io stavo ridendo. Non so se mi disse qualcosa, ma il suo sguardo stanco e ferito non mi lascio più. Al funerale noi bimbe venimmo sgridate perché troppo vivaci. Parola strana, quest’ultima, ma così bambina.

Mia nonna morì il 2 aprile, data che poi tutti avrebbero ricordato per il Papa. La assisteva un giovane dottore che oggi sta cercando di salvare gli anziani. Seguendo il desiderio della famiglia, la fecero tornare a casa una volta spirata, forzando per umanità le regole.

Il nonno vide tornare l’ambulanza quella notte, come tante altre volte, ma capì che era diverso, dal suo viaggio lento e silente. Pianse: «Era sempre tornata a casa».

Io non la capivo, la morte, forse non l’ho mai fatto veramente se non quando ho sentito correre via la vita dalle mani che stringevo. Forse nemmeno adesso.

Nella casa della nonna c’era una ragazzina più grande e bellissima che giocava con noi, ricci neri e un sorriso che inseguiva sogni. Io mi ricordo esattamente dov’ero quando se ne andò e quando vado dai nonni, passo tuttora a trovarla: sorride ancora così. Fu colpita dallo stesso male che mi ha inseguito fin da giovane donna, in forma maligna. Così qualcosa, qualcuno ha deciso che io potessi ancora qui, per una differenza che non so definire.

Neanche la morte, so definire.

Ma lei sì. Perché ripeteva una frase che ha il potere di dire tutto:io non voglio morire.

So che è un cassetto molto triste, ma forse prima di parlare alle conferenza stampa sull’andamento dell’epidemia - e noi di commentare- sarebbe meglio farci trovare meno disarmanti, visto che siamo già disarmati. Magari con un velo di pudore e compassione, mormorare, se non riusciamo a tacere.

Ricordare che non stiamo elencando decessi, ma parlando di persone che sarebbero dovute tornare a casa, così si aspettavano i loro cari nonostante la crudeltà del virus. Che non volevano morire.

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