A fatica hai assorbito le sofferenze dall'altra parte del mondo, dove tutto il male sembra cominciato, ed ecco sono già tue. Hai letto storie indescrivibili, se non in pennellate più maldestre di quando eri bambina, che ti seguono per una sorta di inerzia.
Poi quando pensi che ciò che hai sofferto sia un'ombra di quanto ti stanno narrando, si posa su di te una frase: stammi bene.
Scritta sussurrando su un messaggio, quasi un comando sospinto da una gentilezza che si può chiamare umanità.
Stammi bene, quello che tu non avevi osato dire ai tuoi amici in altre nazioni del mondo, che fino a poco tempo prima si preoccupavano per te e i tuoi cari: adesso il virus sta ferendo i loro Paesi.
Stammi bene, può dirlo solo chi è già passato nell'inferno e ha trovato un modo di sopravvivere. È nel futuro di chi è troppo piccolo per saperlo fare da solo, eppure traccia colori di speranza su fogli improvvisati in un mondo virtuale.
Stammi bene, l'ha detto proprio a me e forse è solo un modo di dire. Ma mi fa sentire che qualcuno non sta pensando a ciò che posso fare per lui, bensì a ciò che può fare per me.
Stammi bene, è la medicina in un'era malata di cui noi siamo i primi sintomi, finché si affaccia una frase cortese, che annulla le distanze nel pianeta quando pochi accanto a te ti sembrano vicino.
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