martedì 7 aprile 2020

L'umanità di una laurea a distanza

Mentre sto terminando un'intervista su tutt'altro argomento, apprendo che un giovane tra poche ore conquisterà la laurea magistrale. Una laurea strana, a distanza, come quelle che stanno avvenendo in questi giorni.  E niente abbracci nel luogo della "vittoria", strappata a suon di sacrifici, niente grido liberatorio in università, niente ritualità.

Sul finale della conversazione, uno di quei lampi rivelatori. Mi avvicino alla parete di una stanza e ripasso la data della mia laurea: 7 aprile di quei... due, tre anni fa.

Mi impressiona la coincidenza, eppure mi riporta anche molto, molto indietro: ovvero in un tempo di legami così differenti, dove ci si prendeva cura in tanti modi degli altri. E dove se uno nasceva rompiscatole tipo me lo era fino in fondo. Poi spiegherò perché. 


La sera prima, invece di studiare, ero a lavorare perché stavano affluendo i dati delle elezioni parlamentari del 1992. Quelle che hanno portato anche un caro e sfortunato amico (si dice galantuomo, mi rimprovera lui, come il tempo) a Roma, tra l'altro. Ad un tratto, dalla sala dove scorrevano i risultati, fui chiamata in segreteria per una telefonata.

Era la redazione, che mi riportava la strigliata del direttore Mino Durand: «Cosa? Marilena è ancora in Comune? Ma domani si laurea, quella disgraziata, ditele di tornare a casa». Questo è il volere (il) bene, che rifugge dallo spremere le persone.

Obbedii a rilento e il giorno dopo andai all'Università Cattolica,  con i miei genitori, perché avevo dissuaso tutti gli amici. Anzi, all'ultimo, la rompiballe chiede anche ai suoi di non entrare, perché era nervosa. Si infilò dentro solo un compagno di corso, fu accettata una studentessa che doveva laurearsi con una tesi in Sociologia della religione nei giorni a venire, quindi chiedeva di testare come funzionasse.

Insomma, la mia fu una laurea a distanza, in un certo senso, così come ho sempre detestato suonare in pubblico (e volevo entrare in un gruppo rock), gli esami preferivo gustarmeli in solitudine.

Poi esplose l'abbraccio, ci fermammo in un caffè con mamma e papà e li portai fuori a cena. Era tutto semplice, una tappa per cominciare qualcosa di nuovo. Me lo racconta anche questa fotografia, dove sembro lasciarmi alle spalle una vita per un'altra.

Oggi una laurea a distanza significa però che magari non sei bastardo come me e i tuoi genitori, i tuoi amici, possono comunque seguire. E che senti anche l'onere di attraversare un periodo drammatico con il fuoco di volerlo battere e consumare.

Non siamo mai distanti, mai vicini veramente, se non lo vogliamo. Ma possiamo sempre lasciarci alle spalle una vita per un'altra. Possiamo sempre cominciare qualcosa.

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