Si può stare senza abbracci, parlano gli occhi, le risate soffocate dalla mascherina che per sicurezza copre anche le lacrime.
Quante persone abbracciamo davvero ogni giorno, quante di quelle che incontriamo lungo la nostra strada?
Mi nutro di questa razionalità a buon mercato, finché esco dalla chiesa e incontro un amico che invece si sta dirigendo lì. Ha grandi occhi buoni come sempre, ma sembrano ancora più puri sopra la mascherina: ha subìto un lutto insopportabile, ancora di più di questi tempi.
Nel porticato parliamo, a un metro di distanza e le parole mie sono così aride e raffazzonate che neanche me le ricordo. So solo che a un certo punto esclamo: è che dovrei abbracciarti, è impossibile e ingiusto non abbracciarsi.
Immersi in questo drammatico gioco di chi preserva chi, non ci muoviamo.
Quando ci separiamo, io lo sento ancora più forte: che è ingiusto non abbracciarsi.
Solo in quel momento ho compreso cosa significhi non poter dare un abbraccio, con la sua semplice immensità che copre il vuoto delle parole.
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