Non si può tornare a piedi in silenzio e solitudine, nella mia città. Neanche quando cala un velo, un velo appena, di oscurità: già lampeggiano le luci artificiali e qualcuno ti ferma, oppure ti trovi ad attirarlo tu in una chiacchierata.
Nella piazza dal volto stanco incrocio un compagno di tifo in bicicletta; presto se ne aggiunge un altro. Contagioso, passa un ragazzo con il berretto della mia Pro Patria. Siamo tutti qui.
Devo sbrigare un sacco di commissioni, e mi aspettano, ma il tempo si ferma nella mia città, nella mia piazza. Una conversazione che parte dallo stadio e abbraccia il mondo intero.
Mi accorgo che le parole amare e preoccupate sul futuro, pronunciate dal compagno di tifo in bici, sono accompagnate da sfumature di stanchezza anche sul viso. Mi accorgo che non riusciamo a vedere quell'ombra di rosa del tramonto esitante, quella che grida come sia solo un arrivederci.
Ci sentiamo incerti di tutto questo mondo a singhiozzo. L'unica sicurezza è che ci troveremo là, nel nostro stadio. E quando non ci potrò andare, mi sentirò una tigre in gabbia. Ci sentiremo.
Il mondo va a rotoli, e la città che si veste di mille feste apparenti, mi appare esausta come il pianeta intero.
Eppure c'è una squadra, anzi è l'unica squadra, quella che incontri mentre calpesti con amore la terra delle tue radici: è bianca, è blu, e ha tutti i colori del mondo. Se lo vuoi. Siamo noi, incerti e fedeli, stanchi e sempre in cammino.
Che dire? un amore casalingo, di famiglia, un dovere senza peso. Una squadra come la sua città.
RispondiEliminaDario celiento